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Psicologia Clinica e Forense – Psicoterapia – Logopedia

L’ESPERTO RISPONDE: Sono sieropositiva, e ora come faccio?

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Emilia, 32 anni

Buongiorno, scrivo perché da un mesetto ho scoperto di essere sieropositiva, di avere contratto l’HIV.

Ho avuto una buona carriera universitaria, ho un buon lavoro, amici, una famiglia normale, mai problemi di alcun tipo (droghe o simili..). Ho fatto il test perché una mia amica mi ha proposto di diventare donatrice del sangue, e sono andata a farlo, per la prima volta, a 32 anni. donna_triste_9_94681
Sono andata serena a fare gli esami di routine: mai più avrei pensato di poter essere a rischio per questa infezione. Infatti quando mi hanno convocato per comunicarmi l’esito ho subito pensato a un errore: però non c’era nessun errore. Sono sieropositiva, non si capisce esattamente da quando, probabilmente da qualche anno.
Io di uomini con cui sono andata a letto ne ho avuti solo 3, tutte relazioni stabili, dove dopo un po’ si smetteva di usare il preservativo e si usava la pillola. Con M., l’ultimo fidanzato, siamo stati insieme 3 anni, e lasciati qualche mese fa. Dato che ho comunicato a tutti e 3 del mio stato, ho scoperto che il “regalo” me l’ha passato M. Io mi fidavo di lui. Lui a sua volta non lo sapeva, è caduto dal pero, cercando di capire chi tra le sue ex fosse stata.

Ho avuto la “fortuna” di poter confrontarmi con un operatore preparato in materia, credo psicologo,  al momento della consegna del test, che mi ha accennato, per quello che potessi capire in quel momento, che di HIV ora non si muore, non in Italia, non se lo scopri in tempo, ma si può vivere una vita quantitativamente e qualitativamente paragonabile a un sieronegativo.
Ho avuto ancora “fortuna” (ironico usare questa parola in questo contesto) di avere  potuto usufruire da un colloquio di counselling nello stesso giorno della prima visita con l’infettivologo, dove mi è stato spiegato un po’ quale sarà l’iter che dovrò affrontare, mi ha rispiegato bene la differenza tra HIV e AIDS, ho potuto fare domande anche sceme che di certo a un medico non avrei fatto. Inizierò la terapia a breve, perché ora si prende anche quando si sta bene. Fisicamente mi sento in forma come prima di saperlo, e gli esami vanno bene. Quindi parrebbe che tutto sia rientrato, che sia “tutto sotto controllo”, come piace a me.
Nonostante tutto questo, continuo a tormentarmi. Al di là della caccia alle streghe (mi rendo conto che anche avendo capito chi è stato non mi cambia poi molto), al di là di aver pensato di essere stata una stupida a non pensare di fare mai un test prima di togliere il preservativo in una relazione, continuo a domandarmi: ora come faccio? Come farò a convivere con questa cosa? E la cosa che mi fa stare male è che non capisco esattamente cosa mi pesi.
Vi ringrazio per l’attenzione, mi sono dilungata ma avevo bisogno di spiegare bene questa situazione.
Saluti, Emilia.

Carissima Emilia,
grazie per averci scritto. La sua storia, per quanto dolorosa, è molto ricca, e raccontata in maniera molto lucida, essendo tra l’altro passato così poco tempo.
Probabilmente, come dice lei, è vero che è stata “fortunata” a poter usufruire sia del colloquio di restituzione dell’esito negativo (colloquio che la legislazione in materia di HIV prevederebbe, ma che spessissimo non viene erogato) sia dello sportello di counselling in accompagnamento alla prima visita con l’infettivologo. Questi servizi le hanno permesso di avere accesso a una buona mole di risposte, immagino anche veicolate nel migliore dei modi, e le hanno permesso di avvicinarsi alla sua patologia più preparata e informata.

cuore-donnaCaratteristiche sue di personalità (per quello che traspare da questa mail) le hanno già permesso di non disperdere inutilmente energie a trovare un capro espiatorio, o comunque, una volta trovato da chi arriva il virus, pare che sia stata in grado di sentire che non è utile infervorarsi con lui, né tantomeno esagerare nel prendersela con sé stessa per “non averci pensato prima”. E’ impossibile pensare a tutto.
Mi riaggancio a questo, e ad una sua espressione in cui leggo il nodo di quello che la fa stare così male ora. Lei scrive che le piace avere “tutto sotto controllo”, e ora, con informazioni, terapie, controlli, le sembra che sia così, ma “nonostante” tutto, sta ancora male. Come mai?
Ci vuole del tempo per accettare davvero una diagnosi che ci si porterà dietro per tutta la vita, per quanto “sotto controllo”, e questo è un dato di fatto. Ma cosa deve accettare, nello specifico?

Ipotizzo che, prima di questo momento, non le sia mai capitato di pensare concretamente che un giorno sarebbe morta. E’ chiaro che, in parte anche a causa della poca circolazione di informazioni, chi riceve una diagnosi di HIV, anche ora, inizialmente pensa alla morte. Poi, acquisendo informazioni, magari conoscendo altre persone HIV positive da più tempo, guardandosi allo specchio e leggendo i propri esami, si rende conto che non è qualcosa di così imminente, seppur qualcosa di inevitabile. Era inevitabile anche prima della diagnosi, ma ora le sembra qualcosa di molto più presente.
Ecco, accettare il fatto che ci sarà una fine, sentirlo sulla propria pelle, è quello davanti a cui mette di fronte una patologia come l’HIV ora. Per tutti noi certo ci sarà una morte, ma in effetti normalmente ci si pensa poco (non avrebbe senso, non è naturale).
Quello che può succedere a volte, come immagino sia successo in parte a lei, è che si sia abituata a immaginare che seguendo il corso delle vita in maniera lineare (si descrive come una persona dalla vita regolare), facendo attenzione quanto più possibile (dice che ama avere “tutto sotto controllo”), le cose sarebbero filate sempre lisce. Il problema è che non si può controllare tutto: qualcosa, inevitabilmente, sfuggirà. E comunque, ad un certo punto, una fine ci sarà.

Si tratta di accettare il limite. Il limite declinato come fine della vita (che non riguarda solo lei da quando è persona HIV positiva, ma la riguardava anche prima, e riguarda tutti noi, solo che spesso che lo dimentichiamo), ma anche declinato nel fatto che in effetti non si può avere sempre tutto sotto controllo, il limite come qualcosa di esterno, che sfugge a ciò che noi possiamo volere e desiderare .

Accettare di prendere i farmaci tutti i giorni, anche stando bene; di andare a fare gli esami un paio di volte all’anno; di avere questo segreto da condividere o nascondere; e molti altri aspetti che ricordano inevitabilmente la propria situazione.
Rispetto alla sua patologia condivido con lei qualcosa che ora le sembra impossibile, probabilmente:  il limite, una volta accettato in maniera ottimale, viene integrato nella vita come “occasione”. Ci pensi un po’: le sarà capitato di vedere qualche film, leggere qualche libro o ascoltare qualche storia in cui il protagonista dopo un grosso trauma, che poteva, però, essere integrato nella vita, ne ha approfittato per migliorarla, e migliorarsi, da diversi e svariati punti di vista.
E questo è quello che può succedere, scoprirà lei come.

In bocca al lupo, resto a disposizione per dubbi, chiarimenti, e le consiglio anche la lettura del libro di Claudia Turrisi, “HIV 2.0. profezia di un’evoluzione possibile”.

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