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Psicologia Clinica e Forense – Psicoterapia – Logopedia

Giovani e smartphone nella ricerca di Jean M. Twenge

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telefonini-ev-fb-470X246-253x189Giovani e smartphone: la tecnologia è parte delle nostre vite. La diffusione degli smartphone (attorno al 2012) si è insediata in maniera repentina e invasiva nelle nostre giornate. Già la presenza dei telefoni cellulari parallelamente all’ingresso di internet nelle case, alla fine degli anni ’90 aveva cominciato a modificare i modi e i tempi della comunicazione: l’incontro tra i due ha rivoluzionato le abitudini.

Noi adulti li abbiamo integrati nelle nostre giornate, ed  è difficile ricordare come facessimo prima ad aspettare di vedere una persona dal vivo per poter condividere con lei un pensiero, un’immagine, un momento… Anche i tempi di lavoro si sono modificati: abbiamo mail lavorative nel telefono, e siamo  raggiungibili tramite diversi canali praticamente sempre.

Se le vite degli adulti sono cambiate, a seconda anche dell’età e delle propensioni personali, e l’uso degli smartphone si è radicato più o meno profondamente nelle giornate di ognuno, quelli che sono massimamente implicati in questa rivoluzione sono gli adolescenti e i bambini moderni, per questo ci si chiede sempre di più quale sia il rapporto tra giovani e smartphone.

In Italia la “consegna” del cellulare da parte dei genitori raramente arriva dopo la seconda media, e per molti ragazzini arriva anche prima. Norme più o meno permissive ne regolano l’uso a scuola, ma a casa? Nel tempo libero?

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Gli smartphone hanno dato una chance positiva o negativa a quelli che, proprio in funzione del massimo uso di questi strumenti, sono stati chiamati “IGen” (I phone Generation.)

Negli Stati Uniti diversi sono gli studiosi che si sono interrogati su questo quesito. Una delle più discusse tra queste ricerche e quella di Jean M. Twenge, docente di psicologia all’Università di San Diego, autrice dell’articolo “Have Smartphone destroyed a generation?”.  La ricercatrice si dedica appunto al rapporto tra giovani e smartphone.

Premettiamo che la realtà americana è diversa dalla nostra: anche solo per caratteristiche urbanistiche delle diverse città (escluse le grandi metropoli) i giovani tendono a vivere un po’ isolati, il concetto di luogo di ritrovo probabilmente ha sempre avuto un ruolo minore rispetto a quanto avviene da noi e le diverse tecnologie hanno avuto da sempre una presa maggiore e più di impatto.

Detto questo, partendo dalle differenze tra le diverse generazioni (noi, nati tra il ’79 e il 2000 siamo i Millennials) la studiosa riporta dei dati non sempre condivisibili.
In generale, gli adolescenti da lei descritti sembrano avere spinte verso l’indipendenza minori rispetto alle generazioni precedenti: fumano di meno, ritardano la data dei primi appuntamenti, fanno sesso più tardi, hanno la patente quando sono i genitori a spingerli, passano più tempo in casa, solo raramente si dedicano a lavoretti estivi per avere soldi per sé. Una grossa fetta di tempo sembra la spendano su telefoni e social, che accompagnano i ragazzi fino a notte, tenuti spesso sotto il cuscino.

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Questa intrusione preoccupa molto perché allarga a macchia d’olio la possibilità di subire atti di cyberbullismo (pensiamo ad Ask, Sarahah).


Le ragazze risultano essere più vulnerabili: i maschi sono più portati ad aggredire fisicamente, le femmine (di base più attaccate agli status sociali e relazionali) ad aggredire ed essere aggredite tramite questi canali.
Inoltre i social appaiono una continua occasione per amplificare il senso di solitudine: se già era abbastanza frustrante negli anni ’90 non venire invitati a una festa, nel 2017 quello che succede è che le immagini di quella festa rimbalzano sui social ferendo ulteriormente.

Fino a qui, ciò che riporta Twenge offre spunti e interpretazioni interessanti: sia sull’osservazione della ridotta spinta all’indipendenza, probabilmente indotta da cambiamenti socio economici e frutto di stile educativi precedenti, sia sul fenomeno di isolamento e cyberbullismo.

Risulta forzato, nel rapporto tra giovani e smartphone, il nesso causale tra massiccio uso di social e depressione e suicidio adolescenziale. Gli esperimenti da lei riportati risultano poco chiari nella costruzione e le conclusioni sembrano un po’ tirate: osserviamo sì  una correlazione tra i due fenomeni, ma sarebbe semplicistico dare la “colpa” ai social, senza considerare, ad esempio, quali sono le caratteristiche personali che portano ad abusarne (ad esempio timidezza, difficoltà a socializzare nella vita reale, scarsa autostima…).

Demonizzare  in toto gli smartphone  sarebbe sbagliato: studi ne affermano anche delle potenzialità positive. Come conclude un interessante articolo di critica alla Twenge, “dovremmo praticare (e insegnare ai nostri figli) la moderazione in ogni cosa, anche nella nostra vita digitale”.

 

autore_bianchi

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