Il potere della musica, può davvero modificare
la struttura e il funzionamento della nostra mente?
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Il potere della musica ci accompagna, ci sostiene, può influire sul nostro umore, distrarci, coccolarci, permetterci di condividere molti momenti. Ma la musica può fare molto di più: agisce in molti modi diversi sulla struttura del nostro cervello.
Ad esempio, l’esercizio musicale in gioventù può aiutare il nostro cervello a invecchiare meglio. Infatti, anche se non è mai troppo tardi per imparare a suonare uno strumento, farlo da bambini potrebbe portarci qualche vantaggio in più.
Uno studio statunitense, che ha coinvolto 44 adulti tra i 55 e i 76 anni per valutare la prontezza del loro cervello nel reagire alla percezione di suoni vocali e dimostrare il potere della musica sul cervello. Infatti, in queste persone è stata misurata l’attività elettrica della regione del tronco encefalico che processa i suoni mentre ascoltavano una voce che pronunciava ripetutamente una sillaba. Chi aveva seguito da bambino lezioni di musica, per un periodo dai quattro ai quattordici anni, mostrava una più rapida risposta cerebrale alla percezione del suono, di circa un millisecondo più veloce rispetto a chi invece non aveva familiarizzato da piccolo con uno strumento musicale.
La differenza è dunque minima, ma moltiplicata per milioni di neuroni è in grado di influenzare in modo significativo le capacità di un anziano di reagire ai suoni. Ma non è tutto qui: questa differenza permaneva anche per i soggetti che, pur avendo studiato uno strumento da bambini, non suonavano più da molto tempo. Gli effetti positivi dello studio della musica da giovani, dunque, non andrebbero dispersi, durando nel tempo fino alla terza età e, secondo Kraus (l’autrice della ricerca), tanti più anni un bambino ha passato a dilettarsi con uno strumento, tanto più ne beneficerà la sua mente adulta.
«La velocità con cui il cervello elabora e discrimina i suoni è una delle prime abilità a essere intaccata dall’invecchiamento e riuscire a contrastare questo processo potrebbe migliorare molto la vita degli anziani» conclude l’esperta.
Un altro studio, canadese questa volta, ci dice di più: non solo l’esercizio musicale, svolto in un periodo sensibile dello sviluppo, può migliorare la velocità di processamento e reazione ai suoni, ma può avere effetti positivi anche sulla struttura e sul funzionamento del cervello.
In questo esperimento sono stati analizzati, attraverso una risonanza magnetica funzionale (fMRI), i cervelli di diversi musicisti, classificati in base agli anni di studio e all’età di approccio allo strumento. I musicisti che avevano intrapreso lo studio in età molto precoce hanno mostrato una maggiore connettività all’interno del corpo calloso, addirittura proporzionale rispetto all’età di inizio dell’attività musicale, e una significativamente migliore performance senso-motoria e di sincronizzazione.
Cosa significa? Il corpo calloso è la parte del nostro cervello che collega i due emisferi: la sua funzione, tra le altre, è permettere alle informazioni di scorrere da un emisfero all’altro. Più connessioni ci saranno al suo interno, migliore sarà la qualità e la velocità della trasmissione che si rifletterà dunque sul funzionamento di tutto il cervello e, in particolare in questo caso, delle aree legate alla coordinazione tra i cinque sensi e il movimento. Dunque, i soggetti che avevano familiarizzato con il pentagramma già molto giovani, si sono ritrovati in età adulta con una parte del cervello rinforzata e più funzionale.
L’età migliore per iniziare lo studio di uno strumento e beneficiare di questi effetti positivi sembra quindi essere prima dei 7 anni: in questa finestra temporale sarà quindi possibile aumentare le potenzialità del cervello, ponendo una solida base sulla quale le esperienze successive potranno essere costruite.
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