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Psicologia Clinica e Forense – Psicoterapia – Logopedia

Pensieri e Aforismi #161 Tich Nath Hanh

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L’ESPERTO RISPONDE: Mio figlio è sempre arrabbiato!

Buongiorno, vi scrivo perché talvolta mi trovo in difficoltà con il mio piccolo di 5 anni. Luca, quando si arrabbia, anche per minime cose, ha dei comportamenti che da sola ho fatica a gestire: urla, si butta per terra, piange a dirotto, è un continuo “no”… da mamma cerco di consolarlo ma spesso, vedendo che continua, finisco per frustrarmi ed arrabbiarmi… come posso aiutare mio figlio?

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Buongiorno Mamma di Luca, innanzitutto colgo l’occasione per ringraziarla di averci scritto e di aver condiviso con noi questi dubbi.
Senza dubbio la rabbia è una delle emozioni meno gradite e piacevoli che riguarda tutte le età, coinvolge tanto noi adulti quanto i nostri bambini e, siccome viene socialmente considerata un’emozione “scomoda”, di difficile gestione, spesso viene disapprovata e soppressa. In realtà si tratta di uno stato d’animo fondamentale per lo sviluppo emotivo e sociale dei più piccoli perché consente loro di apprendere strategie per fronteggiarla e maggiori risorse per reagire alle avversità. Tendenzialmente la maggior parte dei bambini, durante la crescita, impara a controllare la propria rabbia, infatti le manifestazioni fisiche della collera solitamente diminuiscono tra i 3 e i 5 anni. Tuttavia alcuni bambini mostrano una difficoltà a contenere le proprie reazioni colleriche anche negli anni successivi. In questi casi è importante ricordare che la rabbia va accettata, il bambino deve potersi sfogare senza essere etichettato come rabbioso o identificato con le sue reazioni impulsive e da genitore bisogna provare a comprendere la percezione che il bambino ha della situazione, ovvero cosa scaturisce una tale reazione. I rimproveri e le punizioni finiscono col rinforzare la rabbia e innescano nel bambino meccanismi che amplificano una percezione negativa di sé.

Quindi come aiutarlo? Di fronte a uno scoppio di collera, invece di chiedere al bambino di calmarsi (in quel momento non è in grado di farlo!) o di arrabbiarvi a vostra volta (alzare la voce stimola ancora di più la sua opposizione e accresce la sua collera!), siate presenti con gesti affettuosi accompagnati da parole dolci, con funzione rassicurante e tranquillizzante. Una volta calmato, potete provare a ragionare insieme su quanto successo. Una tecnica utile può essere quella di insegnargli a riconoscere i segnali fisici che arrivano dal proprio corpo (calore, rigidità, tremore…) e che indicano la probabilità di un’esplosione di rabbia. Un altro modo per parlare di rabbia è leggere insieme storie che abbiano per protagonisti bambini arrabbiati; in questo modo si sollecita l’identificazione con il protagonista, e si può ragionare sulle soluzioni che vengono attuate. 

Giochi utili. 

  • La statua: consiste nel fatto che il bambino resti immobile quando sente la parola “statua” contenendo i suoi impulsi e, pertanto, può essere utile per sviluppare l’autocontrollo.
  • Le previsioni meteo: consiste nel chiedere al bambino come si sente in quel momento per promuovere la consapevolezza emotiva.
  • Il vulcano: consiste nel chiedere al bambino di immaginare il suo interno come se fosse un vulcano e di individuare il momento di eruzione. Questo gioco è utile per fargli prendere coscienza del suo comportamento e delle varie fasi che portano all’esplosione (irritabilità o frustrazione, rabbia, collera) in modo da aiutarlo ad arrestarsi prima di raggiungere il punto di non ritorno.

 

Tecniche di rilassamento.

  • Respirazione: fare dei respiri lenti e profondi ha un effetto calmante sulle emozioni. Per aiutarlo si può chiedere al bambino di immaginare di fare delle bolle soffiando dolcemente, in modo che debba controllare il proprio respiro;
  • Toccare acqua o sabbia: una tecnica che aiuta a calmarsi attraverso i sensi; si possono usare anche materiali e aromi differenti;
  • Pallina anti-stress: costruire insieme al bambino una pallina anti-stress (es. palloncino riempito di riso o sabbia) che possa tenere in mano nei momenti di tensione;
  • Il barattolo della calma: costruire il barattolo della calma riempiendo una bottiglia di plastica trasparente con acqua calda, colla liquida trasparente e porporina; il bambino può rilassarsi osservando i movimenti della porporina all’interno della bottiglia liberando così la mente da pensieri negativi.

In generale è importante aiutare il bambino a comprendere quali attività possono avere un effetto rilassante e calmante nei momenti di tensione (es. disegnare, contare fino a dieci, colorare, ascoltare la musica, fare un bagno caldo etc…).

Spero di esserle stata d’aiuto fornendo qualche spunto in più per affrontare queste situazioni.

Dott.ssa Mereu Cristina
Neuropsicomotricista

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Pensieri e Aforismi #146 E.J.Bronte

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L’ESPERTO RISPONDE: Odio essere timido!

Buonasera, sono Luca, vi scrivo perché vorrei rivolgervi una domanda.
Riguarda la mia timidezza: quando sto in gruppo o conosco persone nuove, mi sento molto insicuro, nel senso che non parlo con gli altri e che mi emoziono! Mi potrebbe dare, cortesemente, dei consigli, per sbloccare la situazione e poter risolvere questo mio problema?

Caro Luca, timidezza e insicurezza sono caratteristiche umane presenti in molti di noi. Talvolta possono esser vissute come un ostacolo nella nostra vita sociale. Vorremmo magari essere più spigliati o brillanti, o solamente provare con minor intensità il disagio che tanto ci destabilizza. Provo a dare alcune risposte alla sua domanda: le prenda come spunti di riflessione, più che come consigli.

Che cos’è l’introversione? Innanzitutto, l’introversione è una qualità psicologica che connota molte persone. Lungi dall’essere un problema, denota semplicemente una maggiore attenzione verso la propria interiorità – pensieri, sensazioni, stati d’animo, fantasticherie – che verso il mondo esterno. Questo atteggiamento si accompagna spesso ad un’altra tendenza, inconsapevole e spontanea: chi è più introverso riveste facilmente la realtà esterna (persone, situazioni, eventi) di suoi significati o aspettative. Detto altrimenti: meno vivo concretamente il mondo e più lo investo di valori personali. Capita che un atteggiamento fortemente introverso ci porti a vivere l’esterno un po’ come uno schermo su cui proiettiamo parti di noi.

Perché ci si sente insicuri? Questione differente – poi – è l’insicurezza, che nel suo caso si presenta in gruppo o con nuove conoscenze. Forse potrebbe esserle d’aiuto domandarsi e mettere a fuoco cosa potrebbero rappresentare per lei i gruppi di persone e le situazioni nuove. Divertimento? Minaccia? Libertà? Giudizio? Sono solo esempi, ma cercare di comprendere il rapporto che per lei esiste fra questo stato d’animo e le situazioni in cui lo prova può essere un primo passo sulla strada per gestirlo.

Come affrontare queste difficoltà? Forse “gestire il problema” non è la formula giusta – e veniamo al terzo punto su cui le propongo di riflettere. Forse sarebbe meglio chiedersi come trovare un significato per ciò che si prova. Nella sua domanda lei scrive che non parla più con gli altri e che si emoziona. Beh, le nostre emozioni talvolta possono lasciarci senza parole (tutti prima o poi lo abbiamo provato), ma sono anche un segnale che il nostro organismo ci invia per comunicarci qualcosa. Per quanto possa esser sgradevole come ci sentiamo, da un punto di vista psicologico non ci sono emozioni negative: tutte affiorano per una ragione e – ahimè – ci tengono ad essere ascoltate, anche a costo di diventare molto insistenti. Questo per dire che, pur se faticoso, è utile chiedersi in che modo le nostre emozioni e stati d’animo potrebbero essere dei segnali da ascoltare, anziché dei problemi da risolvere.

Le mie sono osservazioni di carattere generale, ma spero comunque che possano esserle d’aiuto nell’inquadrare con più chiarezza ciò che sta vivendo e nel trovare una possibilità di dialogo con la sua insicurezza. Se ritenesse opportuno intraprendere un percorso psicologico per approfondire ciò che le sta capitando le mie colleghe ed io restiamo a disposizione.

Dott. Martino Lioy,
psicologo clinico,
psicoterapeuta e psicodrammatista specializzando.

 

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L’ESPERTO RISPONDE: quando le nostre storie ci intrappolano

Mi chiamo Marco, ho 28 anni. Mi sono lasciato da poco con la mia ragazza, perché era troppo distante da me, non c’era. Anche se gliene avessi parlato non penso che lei avrebbe potuto capire ed essermi d’aiuto, forse non sarebbe neanche stato giusto farle carico delle mie difficoltà. Mi rendo però conto che per me è molto duro dire cosa provo, farmi avanti, fin da piccolo ho avuto questa sensazione.
Piango molto da allora, mi sento perso. È così complicato l’amore, sono confuso. 
Non so se c’entri, ma i miei si sono lasciati quand’ero piccolo, ho vissuto sballottato fra due case, spesso cercando di esser loro d’aiuto, sono stati anni difficili.
C’è qualcuno con cui posso condividere queste emozioni?

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Caro Marco,
grazie per averci scritto. Parli di qualcosa di molto importante, ci porti una domanda che tocca l’esperienza di moltissime persone.

Nella nostra vita esistono alcuni snodi centrali. La costruzione di un rapporto di coppia è certamente uno di questi. La coppia, fra i tanti ruoli che ricopre, racconta anche della nostra capacità e disponibilità a renderci permeabili, ad aprirci all’altro, a fidarci. Spesso troviamo complementarietà e corrispondenze con le persone a cui siamo più legati. Capita che in un rapporto d’amore o in un’amicizia profonda si tenda a una certa completezza, ricercando nell’altro caratteristiche che sentiamo in noi mancanti e – specularmente – investendo molto sui tratti comuni e condivisi. È allora frequente (per fare qualche esempio) che uno sia “l’introverso” e l’altra “quella espansiva”, che l’uno sia “quello che decide” mentre l’altro “quello che si fa guidare”.

Qualcosa di analogo accade dentro di noi, in un gioco di rispecchiamenti di desideri e di paure. La nostra personalità è come un insieme di storie che ripetutamente noi raccontiamo e sentiamo raccontare su noi stessi. Nel tempo, in base a ciò che viviamo, certe storie ci diventano più familiari di altre, che restano invece relegate in un altrove ignorato o rifiutato. Questo processo – prevalentemente inconsapevole, sia chiaro – di scelta delle storie che più ci rappresentano risponde a un bisogno di coerenza, di chiarezza, di definizione. È ciò che, semplificando, costituisce la nostra identità. 

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Ogni scelta comporta sempre una rinuncia, ma di questo capita di non accorgersene se non a posteriori. Quando noi scartiamo certe storie su noi stessi restringiamo il nostro campo d’azione, limitiamo la nostra libertà non solo di movimento, ma anche di pensiero. “Io sono forte”, è molto rassicurante saperlo, mi fa sentire bene. Eppure questo – col tempo – mi può rendere inaccessibile l’idea di poter essere (almeno qualche volta) debole, fragile, vulnerabile; bisognoso.

Quegli aspetti dell’esistenza che non ammettiamo in noi stessi (ciò che non ci piace, che giudichiamo negativamente), a lungo andare rischiamo di relegarli nell’ombra, di escluderli dalla nostra coscienza. In tal modo – pur pensando di essercene liberati – lasciamo questi aspetti privi di parole che possano descriverli e li rendiamo impensabili. E dove meno c’è la nostra capacità di pensiero (che è ciò che dà forma e contenimento alle nostre esperienze), tanto maggiore è l’imperversare incontrollato delle emozioni, che allora perdono la loro naturale funzione di bussola e coloritura psichica e diventano invece un caotico tormento e un oceano tumultuoso che ci disorienta.

Può capitare così di sentirsi bloccati, senza via d’uscita né alternative. La carica emotiva che avvertiamo dentro di noi ci pare troppo intensa per essere gestibile, ci è molto difficile pensare che qualcuno possa accoglierla e saperla maneggiare. Più semplicemente, ci è molto difficile pensare. Una possibile strada è forse quella di ritrovare un nome per ciò che sentiamo, trovare in noi parole nuove per raccontare e immaginare il nostro dolore, per dargli una forma, un aspetto, una dignità, un luogo psichico di sosta e di dimora.

Tu hai accennato ad alcune difficoltà che hai attraversato nella tua crescita, alla necessità di esser presente e d’aiuto per la tua famiglia. Dopo tanti anni nel ruolo di soccorritore può magari esser difficile ora ritrovare in te quelle parti (necessariamente un po’ accantonate) bisognose di cure e in grado di chiedere aiuto. Non è mai semplice entrare in contatto con quanto dentro di noi parla di fragilità e mancanza. Allo stesso tempo, però, cercando una via per dar voce a queste parti sarà possibile familiarizzare poco a poco con esse, renderle più pensabili e accettabili, integrarle nella tua storia di vita e renderle – se non proprio risorse – dei tratti di te consapevoli di ciò che desideri e capaci di dar casa alla tua sofferenza.

Dr. Martino Lioy
Psicologo clinico

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esperto

 


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L’ESPERTO RISPONDE: emozioni inaspettate in gravidanza

Simonetta, 32 anni

Buongiorno,
Vi scrivo perché ho scoperto da poche settimane di essere incinta e forse non mi sento come dovrei sentirmi. Io e mio marito l’abbiamo cercato, lo desideravamo entrambi. Non abbiamo fatto come molte coppie che contano i giorni fertili ci abbiamo provato e in modo molto tranquillo è arrivato. Diciamo che ci siamo affidati al destino e in poco più di un paio di mesi il test ha dato esito positivo.
Non ho avuto il tempo di realizzare la cosa, mi sento spaesata e dentro di me circolano mille emozioni. È una cosa stranissima, non ho mai provato nulla di simile.
Mi faccio sempre mille domande… sono una insicura io. Ciò che mi preoccupa è che sento delle amiche o delle colleghe incinte come me che sprizzano di felicità da tutti i pori, leggo sempre di emozioni positive e di gioia immensa. E io? Io mi sento per lo più impaurita, ho mille dubbi e mille domande, ma perché? È normale? Possibile che io sia così diversa dalle altre?unnamed-1

Buongiorno cara Simonetta, la ringrazio averci scritto.
La gravidanza è un momento delicato nella vita di una donna. Ogni gravidanza è diversa, ogni donna è diversa come ogni giorno è diverso. Il ventaglio delle esperienze che possiamo provare è enorme, dal sentirsi sane e forti come non mai, con un senso di totale benessere, raggianti e felici, al sentirsi invece incredibilmente nauseate, affrante e svogliate.

Potremmo ritrovarci deluse o addirittura arrabbiate perché ciò che stiamo sperimentando potrebbe non coincidere affatto con le nostre aspettative sulla gravidanza e su come ci saremmo dovute sentire. Per quanto abbiamo desiderato questo momento, insieme alla felicità è possibile sperimentare momenti di paura, ambivalenza, rimpianto e incertezza. Come cambierà la nostra vita? Siamo pronte ad essere madri?

Inoltre durante la gravidanza spesso le donne si sentono più vulnerabili emotivamente e più sensibili sotto tutti i punti di vista, sia fisici che emotivi, anche per effetto dello squilibrio ormonale. Quindi quello che sta provando, Simonetta, è del tutto normale: molte donne come lei lo provano ma è difficile ammetterlo. Tutti “gli altri” si aspettano reazioni di gioia, e svelare le nostre paure diventa difficile. A volte la sensazione di sentirci giudicate, quindi, potrebbe impedirci di accettare e condividere le nostre emozioni.unnamed.jpg

Durante la gravidanza ci saranno molti cambiamenti che si affacceranno alla nostra esperienza: il nostro corpo, il lavoro, la famiglia, le persone intorno a noi. Una chiave per fronteggiare questo percorso è provare ad accogliere e accettare tutto ciò che verrà ed essere gentili e compassionevoli con noi stesse, soprattutto quando proveremo paura.
Spero di esserle stata di aiuto, le auguro di godersi ogni momento di questa esperienza.

 

mara per articoli

 

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esperto


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“TREDICI”: la serie TV che parla delle emozioni in adolescenza – II parte

(Torna alla I Parte)

Risultati immagini per trediciEd è proprio l’identità di Hannah che viene costruita attorno ad un’etichetta – la “ragazza facile”- creata su un singolo evento travisato e interpretato come malevolo, e che viene violata nella sua intimità attraverso la condivisione, su social e chat, di fotografie e informazioni che con la rapidità di un “click” si diffondono in modo virale.

Gli eventi che accadono in successione sono vissuti da Hannah solo come conferma  dell’identità che l’ambiente ha iniziato a costruire attorno a lei: dalla storia d’amore che non ha mai inizio con Clay, una persona buona e diversa dagli altri, ai ragazzi che si aspettano di poter ricevere facilmente da lei attenzioni sessuali e che la disprezzano quando lei rifiuta, al sentimento di colpa nei confronti dei propri genitori per non saperli aiutare in un momento difficile, fino alla violenza sessuale che conferma e chiude il quadro, distruggendo la sua anima.

TImmagine correlatautti questi eventi portano alla nascita, nella mente di Hannah, di pensieri disfuzionali relativi all’immagine di sè come persona non in grado di svolgere azioni positive, non capace, non in grado di fare mai qualcosa di buono, rendendo sempre più credibile la convinzione di base ormai creata e consolidata di non essere una persona degna di essere amata. A questo livello a nulla servono invece i feedback positivi che arrivano dal gruppo di poesia frequentato da Hannah, l’amicizia di Clay e l’affetto presente nella sua famiglia.

L’importanza del giudizio altrui per sentire chi si è e come si è fatti viene espressa chiaramente da Hannah nell’affermazione: “tu sei come sei e te ne freghi, invece per me quello che pensavano gli altri era importante anche se facevo finta che non me ne importasse“, registrata nella cassetta di Clay. Invece, l’idea di non essere quello che gli altri si aspettano, viene espressa in riferimento ai propri genitori: “io non sono come loro vorrebbero”, anche se, nel momento in cui le viene chiesto cosa vorrebbero che fosse, descrive solo in modo generico ciò che lei sente, ovvero, di essere un problema.

Hannah oscilla tra momenti di rabbia e tristezza, a seconda di ritiene responsabile degli eventi negativi vissuti e del danno da questi generato: nel momento in cui Hannah ritiene l’altro responsabile del torto subito, prova rabbia, quando inizia a pensare di essere responsabile del danno o di meritarsi ciò che accade allora si sente in colpa e impotente, percependo di non avere con sé strumenti d’intervento attivo.

tredici2Nella fase di sviluppo adolescenziale la connotazione sociale delle emozioni porta spesso a provare imbarazzo e ancor più vergogna, soprattutto nel momento in cui i fatti diventano di dominio pubblico e la propria intimità viene svelata, come accade ad Hannah. Questa emozione è strettamente connessa al senso di perdita della propria immagine personale e alla paura del giudizio altrui, ed è estremamente dolorosa.

Sembra esserci ancora una speranza per Hannah nel momento in cui termina la registrazione dell’ultima cassetta. Afferma, infatti: “ho sentito un cambiamento: avevo buttato fuori tutto e per un attimo, solo per un attimo, mi è sembrato di potercela fare. Ho deciso di dare un’altra occasione alla vita ma chiedendo aiuto perché da soli non ce la si può fare, ora lo so”.  Aver finalmente fatto uscire tutto, dà ad Hannah la sensazione di sollievo. Ricordiamo, infatti, che molto di quello che accade viene interpretato, rivissuto e riempito di significato solo ed esclusivamente da Hannah e dalla sua mente.

Ma chi ha visto Tredici sa come va a finire: Hannah affida a questo ultimo unico momento, testa o croce, la decisione finale della sua vita e ne uscirà delusa da un aiuto che non arriva per una mancanza di competenze e per una serie di errori che molti psicologi avranno osservato nel colloquio con Mr Porter, counselor della scuola.

Attendiamo la seconda serie per vedere cosa decideranno di sviluppare gli autori e cosa racconteranno dei ragazzi protagonisti di queste travagliate vicende.

 

silvia

 


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“TREDICI”: la serie TV che parla delle emozioni in adolescenza – I parte

Ho concluso poco fa, quindi in ritardo rispetto al palinsesto, la visione di Tredici, serie tv della piattaforma Netflix che ha fatto discutere di sé e ha incollato allo schermo adolescenti (e non!) poco prima dell’estate. In attesa della seconda stagione di Thirteen Reasons Why, il titolo originale, confermata per il 2018, ma soprattutto con la ripresa scolastica di migliaia di adolescenti, mi piaceva riprendere uno tra i molti temi psicologici toccati dalla serie.

tredici

Il contesto che fa da sfondo alla vicenda narrata, è quello dell’High School americana, dove si riconoscono ruoli e stereotipi differenti rispetto alla scuola italiana ma l’identificazione, non tanto con il personaggio quanto con quello che prova e gli accade, riesce comunque facile.

Tredici è il numero degli episodi della serie nei quali vengono narrate le tredici ragioni che Hannah Baker (la protagonista della vicenda), fornisce registrate su cassette, come motivazioni del suo suicidio. Il suicidio di Hannah non è di fatto trattato nella serie, conclude la vicenda e si comprende essere premeditato perché probabilmente immaginato sin dalla registrazione del primo tape, ed è violento. La premeditazione e l’ideazione sono caratteristiche non tipiche del suicidio in età adolescenziale, ma per una idea su questo tema specifico, rimando all’articolo della dott.ssa Alessandra Bianchi.

Ogni motivazione riportata da Hannah è in riferimento ad una persona precisa e ad uno o più eventi difficili, vissuti con la persona in oggetto, protagonista del suo tape. A prima vista e alla lettura della presentazione della serie quindi, suicidio e bullismo possono sembrare i temi caldi da affrontare, ma non solo: anche l’abuso sessuale lega alcune vicende dei giovani coinvolti, ma ritengo che sia soprattutto di amicizia ed emozioni e del loro sviluppo e significato durante l’adolescenza, che si narra e che possono essere il fil rouge di ogni puntata della serie.

A chi è nato e ha vissuto negli anni ’80, il richiamo del walkman, delle cassette e la bicicletta di Clay, co-protagonista con Hannah Baker della storia, non può non ricordare ET l’extraterrestre e le bande dei ragazzini in bicicletta protagonisti di serial e film di quegli anni. Revival scenografico a parte, il ricordo va proprio alle emozioni che si provano in quel momento della vita per fatti ed eventi vissuti nel profondo come unici ed assoluti, indiscutibili nel loro valore e significato (se non a rivederli e ripesarli solamente molti anni dopo), e soprattutto alla loro incredibile intensità.

Risultati immagini per trediciHannah decide di catalogare i motivi per cui la sua vita aveva iniziato ad andare male e a tal proposito afferma: “ la vita è imprevedibile e controllarla è un’illusione. A volte questa imprevedibilità è sconvolgente e ci rende piccoli e impotenti. Ho registrato 12 lati, ho cominciato con Justin e Jessica, tutti e due mi hanno tradita, Alex, Tyler, Courtney e Marcus hanno distrutto la mia reputazione, Zach e Ryan che hanno fatto a pezzi il mio ego [..] e per ultimo Bryan che ha distrutto la mia anima.

I termini utilizzati per descrivere ciò che le è accaduto sono estremi, forti, le emozioni traboccano. L’emozione deve essere intesa in una concezione socio-cognitiva: è un fenomeno complesso caratterizzato da aspetti fisiologici, affettivi, cognitivi, espressivi e comportamentali ed ha un posto d’eccellenza nell’organizzazione globale del comportamento. L’emozione è una risorsa psicologica condizionata nella sua funzionalità dalla necessità di trovare un coerente criterio di autoregolazione nel corso del suo sviluppo, ed è inoltre il risultato del significato che soggettivamente attribuiamo ad un evento e ha, proprio per queste caratteristiche, un ruolo di primo piano in adolescenza perché sentire e dare un senso, sono azioni che convogliano nel più complesso processo di costruzione della propria identità.

Continua a leggere…

 

silvia

 


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LAVORIAMO CON LE EMOZIONI! Un nuovo progetto per le scuole materne ed elementari

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Dopo l’estate verrà attivato
un nuovo progetto di riconoscimento emotivo
per le scuole materne
organizzati a Torino con la collaborazione
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Lavorare sulle emozioni è importante fin dalla prima infanzia perché sono strumenti che ci danno informazioni su ciò che avviene dentro e fuori di noi, aiutandoci a capire cosa succede a noi e agli altri.

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PSICOLOGIA E LIBRI “Una stanza piena di gente” … il thriller psicologico che vi sconvolgerà!

1Sono venuta a conoscenza del libro scritto da Daniel Keyes nel 1981, Una stanza piena di gente, dopo aver visto il film horror di M. Night Shyamalan, Split, ispirato, anche se non ufficialmente, alla storia del protagonista di questo libro.

Il romanzo, scorrevole e coinvolgente, è la biografia di Billy Milligan che incuriosisce e a volte spiazza. Continua a leggere