Se c’è un termine psicologico di moda in questi ultimi anni è “ossessione” e spesso si fa riferimento ad un’ossessione d’amore.
Facendo zapping tra i canali che hanno il palinsesto incentrato principalmente su reality e documentari, le ossessioni sono le protagoniste indiscusse, che siano “imbarazzanti” o che ognuno racconti la propria.
Non è però solo la televisione popolare che si occupa di ossessioni… Anche eminenti ricercatori se ne occupano ovviamente, e da qualche anno i ricercatori israeliani Guy Doron, Danny Derby e Ohad Szepsenwol hanno studiato in particolare il disturbo ossessivo compulsivo da relazione (DOC da relazione).
Si tratta di un disturbo che potrebbe riguardare diversi tipi di relazione (genitori-figli, professori-studenti; la propria relazione con Dio) ma quello più diffuso e studiato è quello che riguarda l’ossessione d’amore quindi della relazione amorosa.
Questo tipo di ossessione d’amore può manifestarsi in due modi: in un caso, la persona è pervasa da dubbi e preoccupazioni incentrate sulla relazione, nell’altro sono incentrati sul partner. Nel primo caso la persona è attanagliata da ossessioni che riguardano la relazione: “sto bene con lui/lei? Lo/la amo? E’ davvero la relazione giusta per me?”; possono essere avvertiti anche degli impulsi (ad esempio, quello di lasciare il partner).
Nella seconda forma i dubbi ossessivi riguardano il partner stesso: ci si può focalizzare su caratteristiche fisiche o qualità morali e sociali del partner “ha gli occhi piccoli!” oppure “il suo lavoro non è all’altezza del mio” “non ha una buona rete sociale” “con quel carattere così docile non potrà essere un buon padre di famiglia”.
La presenza di un tipo di pensieri non esclude l’altro, anzi a volte possono essere correlati “i nostri interessi non sono gli stessi quindi la nostra relazione non andrà avanti di sicuro”.
E’ chiaro che avere dei dubbi rispetto al partner e ai nostri sentimenti è normale e, anzi, sarebbe particolare non averne mai all’interno di una relazione. Quello che distingue questo disturbo da un normale riflettere sulla propria storia, è la pervasività e l’intrusività di questi pensieri, tale da inficiare anche la qualità di vita, non solo amorosa, ma in ogni ambito.
È importante sottolineare che questo tipo di pensieri ricorrenti è avvertito come egodistonico, nel senso che contrasta la percezione soggettiva della relazione: nel soggetto convive l’idea che si ami il proprio partner, ma nonostante questo non si riesca a fare a meno di interrogarsi su questa cosa.
Chi soffre di questa problematica investe molto tempo nello sforzo di controllare questi pensieri, come tentativo estremo di ridurre la propria continua sensazione di incertezza: vengono messe in atto infatti delle compulsioni. Può succedere, ad esempio, che ogni volta che si presenta un dubbio sui propri sentimenti, si tenti di recuperare un ricordo di momenti felici vissuti col partner; oppure succede che situazioni che possono innescare pensieri intrusivi vengano evitate (uscire con coppie di amici particolarmente felici, guardare film romantici con happy ending, ascoltare canzoni d’amore…). Inutile dire che questi escamotage alleviano l’ansia solo nel breve periodo, ma nel lungo non fanno che esacerbare i sintomi e la sofferenza, peggiorando anche oggettivamente la relazione col partner.
È interessante che, anche se di norma si presenta riguardo a relazioni presenti, alcune persone sviluppano l’ossessione d’amore rispetto a relazioni passate. Ci sono persone ad esempio che alla fine di una relazione sono tormentati dal timore di aver perso “l’uomo della vita/la donna della vita”. Per allontanare questi pensieri intrusivi e fastidiosi, cercano persistentemente (anche qui ritornano le compulsioni) di riportare alla memoria i motivi della rottura o si focalizzano su tutti i momenti negativi vissuti, per rassicurarsi sul fatto che la fine della relazione fosse la soluzione adeguata.
Questo disturbo spesso si manifesta per la prima volta attorno alla prima età adulta, e può persistere nel corso di tutte le storie di relazioni sentimentali della persona.
Diversi soggetti però lo ricollegano a momenti particolari della relazione: l’inizio della convivenza, la proposta di matrimonio, l’età giusta per avere figli…
Rispetto all’eziologia e al mantenimento del disturbo (in qualsiasi sua forma), sembra che sia particolarmente diffuso tra chi attribuisce una particolare importanza alle relazioni di coppia come parte fondante del proprio essere, di ciò che si è. Chiaramente, se la propria autostima è particolarmente connessa al dominio relazionale, si è portati ad essere particolarmente ipervigili a tutto ciò che accade in questo ambito. Un difetto fisico o una mancanza di particolari doti morali e sociali del partner possono essere lette come un riflesso del proprio valore personale, e generare emozioni spiacevoli (vergogna…).
Chi soffre di questo disturbo spesso è anche caratterizzato da tratti che ricorrono anche in generale nella sintomatologia ossessiva, quindi perfezionismo, non tolleranza dell’incertezza, focalizzazione dell’area del pensiero e del controllo.
La psicoterapia in questi casi non ha ovviamente come obiettivo quello di salvare un rapporto, ma diminuire la forza e l’intrusività dei sintomi (la terapia maggiormente consigliata è quella cognitivo-comportamentale) per eventualmente permettere di prendere una decisione rispetto alla relazione basata sulla reale esperienza dello stare insieme e non dalle preoccupazioni collegate al disturbo.
Per approfondimenti:
Doron, G., Derby, D., & Szepsenwol. O. (2014). Relationship obsessive-compulsive disorder (ROCD): A conceptual framework. Journal of Obsessive-Compulsive and Related Disorders, 3, 169-180.
Doron, G., Derby, D., & Szepsenwol. O. (2016). Relationship Obsessive–Compulsive Disorder: Interference, Symptoms, and Maladaptive Beliefs. Front Psychiatry, v.7, 2016.
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