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Psicologia Clinica e Forense – Psicoterapia – Logopedia

L’ESPERTO RISPONDE: Come si interpretano i sogni?

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Buonasera,
mi chiamo Franco, ho 34 anni e vivo a Torino da alcuni mesi. Mi sono trasferito a inizio anno (vengo dalle Marche) per lavoro e per studio. Da quando sono andato via di casa faccio fatica a dormire e ho degli incubi ricorrenti: molto spesso sogno il mio vecchio quartiere distrutto, a volte da soldati nazisti, a volte da strani predoni, a volte semplicemente da figure nere che non riesco a vedere. Mi sveglio poi di soprassalto, triste e spaventato e non riesco più a prender sonno per parecchio tempo. Forse è una cosa da poco, per i miei amici è naturale che continui a sognare la mia città di nascita, ma così? Vorrei sapere cosa significano questi sogni, cosa dovrei fare?

Buonasera Franco.
Lei non è il primo a interrogarsi sul significato dei propri sogni. Come certamente saprà è un tema che attraversa la storia dell’umanità e su cui è stata formulata ogni sorta di teoria.

La fisiologia dei sogni. Partiamo da due dati biologici. Da un punto di vista fisiologico, i sogni sono il prodotto delle aree più profonde ed evolutivamente antiche del nostro cervello. Queste parti – in special modo il sistema limbico – regolano la nostra vita emotiva e gestiscono le nostre memorie. Quando dormiamo le cortecce cerebrali (le aree più evolute, in sintesi legate alla ragione, al movimento e alle capacità umane superiori) si disattivano, lasciando campo libero all’azione delle parti sottostanti. I sogni, in questo senso, sono quello che il nostro cervello emotivo e più profondo pensa, in assenza del controllo razionale e delle forme superiori di sistematizzazione logica.
Cosa significa questo? Che i nostri sogni, potremmo dire, sono l’immaginazione che hanno di sé le nostre emozioni. Durante la notte il sistema limbico riordina e rielabora quei vissuti emotivi che – verosimilmente – non siamo riusciti a metabolizzare a sufficienza nella nostra vita cosciente. In un certo senso il sogno è uno speciale tipo di conoscenza, un sapere nella forma del sentire: esso spiega metaforicamente lo stato emotivo del sognatore.

Una finestra sull’inconscio. Ricordare quel che sogniamo – pur essendo talvolta penoso, come nel suo caso – ci offre una grande opportunità, permettendoci di sbirciare sulle questioni in sospeso che tengono indaffarata la nostra psiche. Sono la porticina di servizio che dà sull’inconscio, se vuole, sul nostro personale “dietro le quinte”. È così che nella notte l’emozione si fa regista e convoca sulla scena onirica i ricordi ed i personaggi che meglio si adattano alle sue esigenze di drammatizzazione. Ecco allora spuntare un intero palcoscenico psichico, un teatro bizzarro e sperimentale che mette in scena, a nostro uso privato, rappresentazioni più o meno incomprensibili, tutte in risposta ad una semplice questione: “come sto?”.

Più semplice di quello che immaginiamo. Tutto questo mi porta a scriverle due consigli di massima. Per prima cosa, citando Jung, “un sogno è la sua stessa interpretazione”. Non si preoccupi di scovare significati occulti o riferimenti criptati dietro ai suoi sogni, provi semplicemente a considerarli la risposta per immagini al suo stato di salute emotiva. Come se la sua mente, in un certo senso, ci tenesse a farle sapere che genere di film ha girato rispetto ad una data questione, persona, situazione, ecc…

Uno spunto per riflettere. E questo ci porta al secondo e più importante consiglio che posso darle. Il sogno è un interlocutore. La cultura popolare tende sempre a cercare di riportare i sogni a delle cause, ma il loro maggior potenziale è nel legame con possibili sviluppi futuri della nostra personalità e della nostra esistenza. A che scopo faccio questo sogno? Che progetti ha per me? Su cosa sta cercando di orientare la mia attenzione, su che pensiero, su quali emozioni? Non intendo certo dire che i sogni sono premonitori, semplicemente che essi sono occasioni di dialogo con parti di noi più profonde ed immediatamente emotive, che come fari nell’oceano ci segnalano la necessità di prestar attenzione alla rotta, magari illuminandoci pericoli che non avevamo notato, o magari confermandoci la bontà della nostra direzione.

Dr. Martino Lioy
Psicologo

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