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Psicologia Clinica e Forense – Psicoterapia – Logopedia

La sofferenza psicologica degli adolescenti nel vissuto dei genitori

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articolo scritto dal Dott. Paolo Benini

Il modo in cui i genitori reagiscono alla sofferenza dei figli adolescenti influenza il loro sviluppo psicologico, poiché  l’adolescente, pur avendo passato la condizione di bambino, non ha ancora raggiunto la condizione di maturità e quindi naturalmente continua ad aver bisogno di un riferimento adulto.

Cosa s’intende per sofferenza psicologica?

Se al corpo si associa una dimensione ben definita come il dolore fisico, nel caso della mente la situazione appare più complessa. In generale, si possono intendere per sofferenza tutte quelle situazioni che comportano una difficoltà legata sia a processi naturali di crescita, sia a problematiche psicologiche più specifiche.

Crescere in adolescenza significa costruirsi un proprio patrimonio emotivo, relazionale ed intellettuale utile a definire  il proprio Sé autonomo. Lasciare una condizione infantile rassicurante e affrontare cambiamenti biologici (sviluppo della sessualità), normativi (ridefinizione di ruoli e compiti sociali), accidentali (accadimenti) e intenzionali (scelte), che possono creare sofferenza nella misura in cui si connettono . Sofferenze transitorie sono inevitabili nella misura in cui si connetto a vissuti  di incertezza, vergogna, inadeguatezza, timore, senso di fallimento e altri sentimenti simili e si intervallano normalmente ad acquisizioni e conquiste personali.

Si possono creare, inoltre, stati psicologici sofferti più specifici, come una condizione depressiva, una rabbia incontrollabile, una forma d’ansia strutturata, un ritiro dalle relazioni, un rifiuto della propria autorealizzazione, una mal percezione di sé, etc.

La sofferenza psicologica va elaborata, per fare sì che non diventi un ostacolo alla crescita e all’adattamento

L’elaborazione consiste nel comprendere la natura e il significato del proprio vissuto, trovandogli una collocazione di senso nella propria vita, per sviluppare forme di adattamento alla realtà interna ed esterna.

Elaborare i sentimenti dolorosi serve evitare di sviluppare forme di sofferenza psicologica più gravi. Per esempio, una tristezza si può trasformare in depressione, una vergogna può degenerare in ansia sociale, una paura dell’imprevedibile può strutturarsi in una forma d’ansia catastrofica, una mal percezione di sé può ingenerare  un disturbo alimentare o un’eterossia, un senso di esclusione può costruire una forma di auto screditamento, un senso di inadeguatezza può spingere a un totale ritiro sociale, un senso di solitudine può diventare disperante fino a indurre forme di autolesionismo, etc. Tali aggravamenti possono ulteriormente degenerare fino a saldarsi a sentimenti  di forte angoscia generalizzata e stati di inconsapevolezza della propria dimensione emotiva e delle possibilità di uscita.

Se il percorso di crescita mette in crisi l’adolescente, è altresì evidente che mette in crisi anche i genitori

E’ possibile delineare alcuni atteggiamenti genitoriali che possono essere di ostacolo a un proficuo processo di elaborazione da parte dei figli adolescenti.

Evitare la sofferenza

Scaturisce dal desiderio di eliminare prima possibile la sofferenza del figlio. Spesso è la conseguenza di un mancato riconoscimento della crescita dell’adolescente, che é visto ancora come bambino da proteggere.

Tale desiderio genitoriale é spesso accompagnato da sentimenti ansiosi, che trasmettono al figlio il messaggio implicito che il suo stato emotivo é pericoloso. L’atteggiamento desiderabile è consentire loro di stare un po’ in quel vissuto, per capire come gestirlo.

La sofferenza va esperita, si tratta di avere la possibilità di ricollegare i fili del proprio sentire e delle cose successe.  E’ necessario che l’adolescente abbia a disposizione  il giusto tempo e spazio di percepire le sue emozioni e i suoi sentimenti.

Quando i ragazzi non riescono ad entrare in contatto con la loro sofferenza  essa può assumere la forma dell’angoscia, privandoli della possibilità di accedere ad una dimensione elaborata più matura.

Negare la sofferenza

Tendenza a non riconoscere la sofferenza dei figli. Si tratta probabilmente di una difesa derivante dalla difficoltà da parte dei genitori di fare i conti con l’esistenza di un problema del figlio, che richiama inevitabilmente un’assunzione di responsabilità anche da parte loro.

Si possono intravedere due possibili conseguenze sul vissuto del figlio: da una parte un aumento della sintomatologia, come se il ragazzo per essere ascoltato, dovesse gridare più forte, e dall’altra un incremento della sofferenza stessa, poiché si aggiunge un senso di mancato riconoscimento e di profonda solitudine ad un momento di difficoltà ed in una fase di vita in cui, in realtà, il desiderio della relazione con l’altro è ai massimi livelli.

Banalizzare la sofferenza

Sostanzialmente sottrarre significato a una cosa, nel caso specifico è vedere la sofferenza del figlio, ma ritenerla non significativa o peggio ancora ridicola. Spesso questo atteggiamento si accompagna ad un pensiero intergenerazionale che qualifica le attuali generazioni di giovani come meno strutturate e capaci delle precedenti. Questa lettura ideologica è chiaramente sbagliata, poiché ogni generazioni fa i conti con contesti processi e condizioni molto diverse.

Anche qui si possono delineare due tipologie di conseguenze sui figli: da una parte la crescita di un sentimento di distanza e ostilità verso il genitore; dall’altra la possibilità che l’adolescente sviluppi sentimenti di vergogna rispetto a ciò che prova.

Il cambiamento evolutivo essenziale consiste nell’osservare se stessi  in modo diverso e nel riconoscere anche di essere oggetto dell’osservazione altrui. Nella vergogna normale di un adolescente vi è il timore di non sentirsi all’altezza, per esempio in ambito scolastico, e questo sentimento diventa difficilmente gestibile quando lo sguardo altrui banalizza i suoi vissuti di sofferenza.

Se l’adolescente è spinto dall’atteggiamento genitoriale ad approcciarsi al mondo interno secondo logiche troppo semplici, considerando per esempio le emozioni solo come positive o negative, i pensieri come giusti o sbagliati, i sentimenti come buoni o cattivi,  ne ricava una crescente difficoltà a capire la complessità della vita. Il sistema emotivo corrisponde ad un attendibile sistema di autoregolazione  che restituisce continuamente dei “dati”, riguardo all’andamento dell’esistenza. Per esempio, non basta cogliere come negativa una tristezza, è necessario capire cosa questa tristezza racconta, per esempio con quale mancanza o perdita si salda. Il mondo emotivo racconta continuamente in modo attendibile, anche se non sempre facile da decifrare, come procede il rapporto con il mondo dei propri bisogni, cosa sta funzionando e cosa invece si è inceppato. Il sentire è un insieme complesso di “spie” che si accendono, per suggerire di considerare un qualcosa che si muove dentro o fuori se stessi.

Colpevolizzare la sofferenza

Spesso questo atteggiamento si accompagna ad un pensiero giudicante e alla tendenza ad attribuire all’altro intenzionalità malevoli: come se la sofferenza fosse qualcosa che il figlio mette in campo contro il genitore e rappresenti una mancata riconoscenza di tutto ciò che quest’ultimo ha fatto per lui.

Esiste di una dimensione emotiva, irrazionale: non tutto può essere letto in termini di semplice volontà.

Il senso di colpa  é uno dei killer psicologici più potenti, perché tende a compromettere l’espressività e l’autorealizzazione della persona.

Ci sono ovviamente delle differenze individuali, che inducono ragionevolmente a non generalizzare le situazioni, d’altro canto si possono individuare alcuni fattori socioculturali sottostanti.

Una tendenza della civiltà genitoriale odierna a ritenere il figlio come emanazione di se stessi: come se non si realizzi fino in fondo una distinzione tra il sé genitoriale e il figlio. In quest’ottica, sembra carente la percezione del figlio come essere autonomo e distinto. Il figlio adolescente necessita di una sperimentazione per tentativi ed errori, che purtroppo stride con una certa mentalità adulta, più incline ad una metodica che escluda il possibile l’errore e che spinge l’adulto ad intervenire subito quando qualcosa non va. 

Un’altra tendenza è considerare la sofferenza solo come elemento traumatico. Lo sviluppo abnorme della tecnica ha portato con sé l’idea che qualsiasi problema possa essere velocemente risolto, non c’è spazio per l’attesa. La sofferenza rappresenta il nemico da sconfiggere poiché, più di altre esperienze, obbliga a fare i conti con i limiti che la vita stessa comporta.

Un’ultima riflessione riguarda la differenza tra il vissuto emotivo adolescenziale e quello adulto. Anche qui, la direzione “tecnologica” assunta dalla società occidentale odierna orienta inevitabilmente l’itinerario  di una vita verso lo sviluppo di emozioni “forti”, cioè nell’ottica della realizzazione e affermazione di sé. Gli adolescenti, non ancora così plasmati dalla civiltà dominante, sono in grado di provare e seguire emozioni meno “performanti” e più orientate agli affetti, che li conducono a considerare con maggiore attenzione tutto ciò che riguarda le relazioni umane. Questo è indubbiamente una differenza che il mondo adulto fatica a riconoscere.

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