Giovanni, 50 anni
“Buongiorno, mi rivolgo a voi perché ho un dubbio.
Mia moglie è in terapia da diverso tempo da uno psicologo e, qualche giorno fa, trovandolo su Facebook gli ha chiesto l’amicizia. Lui non l’ha accettata, dicendo che non è possibile, perché in qualche modo falserebbe il loro lavoro.
A me sembra davvero strano: io sono un medico di base e i miei pazienti li accetto senza problemi su Facebook, non vedo come questo possa compromettere la nostra relazione.
Mi piacerebbe avere maggiori informazioni a riguardo perché non vorrei che fosse solo una rigidità di questa persona e non mi piacerebbe sapere mia moglie affidata a lui.”
Buongiorno Giovanni,
la ringraziamo per aver posto il suo quesito a noi.
Sono comprensibili i suoi dubbi e preoccupazioni rispetto alla professionalità del terapeuta di sua moglie, ma (per fortuna!) sono infondati.
Non accettare “l’amicizia” su un social network, così come astenersi dall’avere contatti al di fuori dal contesto terapeutico, così come non svelare niente di sé (se non in particolari situazioni utili ai fini terapeutici) sono delle accortezze che permettono di mantenere il più neutrale possibile la figura del terapeuta. Questo permette di non avere pregiudizi (né positivi né negativi) sul terapeuta che influenzerebbero inevitabilmente il rapporto e, quindi, di favorire la proiezione sul terapeuta delle proprie fantasie. Ciò consente l’instaurarsi di quello che in psicologia si chiama transfert (la ripetizione di sentimenti, emozioni, pensieri di relazioni significative passate in una attuale) e la sua elaborazione all’interno della relazione terapeutica.
Capisco il suo punto di vista di medico: svelare propri dettagli della vita privata potrebbe rendere più difficoltoso il passaggio di alcune informazioni, ma non ne comprometterebbe l’esito. Immagino che eventualmente potrebbe essere difficile, facendo un esempio banale, vietare di fumare a un paziente, se questi sapesse che il medico in prima persona fuma: adducendo però delle motivazioni razionali e scientifiche sarebbe comunque possibile favorire il cambiamento del paziente.
La differenza con noi è che in psicoterapia si utilizza proprio la relazione che si instaura tra paziente/terapeuta come oggetto stesso del lavoro terapeutico: più su questa il paziente è libero di proiettare elementi propri (e non indotti da caratteristiche del terapeuta, se non quelle che non si possono celare) più si hanno elementi su cui lavorare.
Non si preoccupi, quindi, perché questa accortezza dello psicologo di sua moglie è a vantaggio di una buona riuscita del percorso.
Sperando di aver sciolto i suoi dubbi in maniera chiara, rimaniamo a disposizione.
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