Gentile dottoressa, sono una signora di 45 anni single. Nella vita non ho avuto la fortuna di incontrare un uomo con cui costruire una famiglia. Da sempre mi piacciono i cani e ho due splendidi golden retriver di 5 e 8 anni. Il legame affettivo che mi unisce a loro è fortissimo: sono stati fonte di vicinanza e consolazione nei momenti difficili della mia vita, mi fanno divertire e – perché no – appagano il mio desiderio di prendermi cura di un altro essere vivente. I miei amici dicono che il rapporto che mi lega a loro non è normale, che sono un sostitutivo del compagno che non ho e dei figli che non sono arrivati. Davvero c’è qualcosa in me che non funziona?
Giusy
Gentile Giusy cercherò di rispondere al suo quesito facendo dei riferimenti scientifici per prendere le distanze da semplici opinioni comuni.
La natura dei rapporti umani. I rapporti umani – dalla nascita e poi per tutta la vita – sono caratterizzati dall’instaurarsi di relazioni di accudimento (prendersi cura) e attaccamento (essere accuditi) che possono dare origine a due grandi categorie di relazioni: sicure ed insicure. Chi ha uno stile relazionale sicuro, ha delle aspettative positive verso il mondo raffigurandosi come persona meritevole di amore e di attenzione. Gli “insicuri” invece non sanno bene cosa aspettarsi dai rapporti, oscillando tra la paura di essere abbandonato, il timore per l’imprevedibilità dell’altro, la sensazione di non essere degni di amore.
Il rapporto con gli animali. Diversi studi indicano che gli esseri umani stabiliscono delle relazioni che sono al contempo di attaccamento e di accudimento nei confronti dei propri pet, in base alle circostanze e allo stato di salute dell’animale e del proprietario. Il rapporto con gli animali domestici può essere caratterizzato dalla necessità di mantenere la prossimità con lui e dal dolore per la separazione (tipici dell’attaccamento e dell’accudimento), così come possono rappresentare delle fonti di sostegno e rassicurazione ricercate nei momenti di sconforto (tipico dell’attaccamento).
Non è la stessa cosa. Diversi studi hanno mostrato che il sistema di attaccamento/ accudimento persona-persona tende e non ripetersi nel rapporto con il proprio animale: ciò significa che le persone non soddisfatte del proprio rapporto con altri esseri umani, non si limitano a sostituire l’oggetto della relazione con il proprio animale, perché in quel caso riprodurrebbero lo stesso stile relazionale, mentre invece verso gli animali domestici c’è una prevalenza di attaccamento sicuro e migliori capacità di accudimento.
Ciò significa addirittura che il rapporto con un animale domestico potrebbe interrompere il ciclo di trasmissione di un certo stile di attaccamento, con dei risvolti che quindi non hanno nulla di patologico ma anzi potrebbero rivelarsi terapeutici.
Lo sostiene la ricerca. Il fatto che una persona provi un coinvolgimento emotivo per il suo cane tale da assomigliare al trasporto che un genitore potrebbe avere nei confronti di un figlio ad esempio, è avvalorato dalla ricerca. Infatti i meccanismi fisiologici ed ormonali che si attivano quando si accarezza il proprio cane ad esempio, sono simili a quelli che si registrano durante l’allattamento. In entrambe le situazioni viene infatti prodotta ossitocina che ha come effetto la diminuzione del cortisolo e quindi dello stress e la riduzione della pressione sanguigna.
Dove sta la patologia? Resta il fatto che alcune persone tendano a sviluppare una relazione “malata” con il proprio animale domestico. L’aspetto patologico non sta nella carica affettiva ed emotiva provata nei confronti del proprio pet, ma nel non voler vedere l’altro per quello che è, con le sue specifiche etologiche. In altre parole non è patologico sentire un trasporto affettivo fortissimo verso il proprio animale o soffrire alla sua morte in maniera altrettanto intensa che per la perdita di una persona cara; è patologico volerlo trattare come qualcosa che non è, per soddisfare un proprio bisogno.
Spero di esserle stata d’aiuto
Dr.ssa Silvia Griglio
Psicologa
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